Nei confronti di Beatrice, nel corso della narrazione del loro rapporto, Dante descrive tutta la gamma delle caratteristiche dell’eterno femminino caratterizzato dalla costante ambivalenza della donna, simbolo di un amore totale, sia spirituale sia corporeo.
Così il suo racconto passa dalla descrizione della Beatrice giovanissima della Vita Nuova, mirabile ed eterea, a quella della Beatrice più matura della Commedia. Qui Bea si presenta come salvatrice dell’anima di Dante che corre da Virgilio per pregarlo di accompagnarlo nel suo viaggio nell’Oltretomba. Si trasforma, in seguito, nella Beatrice del Purgatorio, madre severa che lo rimprovera per indurlo al pentimento, infine nella donna del Paradiso che lo folgora appassionatamente con i suoi occhi splendenti.
Volevo però sottolineare la componente materna di Beatrice, più volte accennata, soprattutto all’inizio del loro volo congiunto.
Beatrice gli sembra tanto severa quanto lo è una madre che rimprovera il figlio per le sue colpe (Purg, XXX, 79). In seguito, al 100 verso del I canto del Paradiso, Beatrice si trasforma in madre premurosa che si rivolge al proprio figlio con condiscendenza.
Per finire, arriva anche la Beatrice dei cieli superiori del Paradiso, che si dimostra amante appassionata, che lo coinvolge in un gioco di sguardi e di parole affettuose degne più di un poemetto amoroso che di un’opera teologica.
Per tornare alla Beatrice materna, ricordiamoci che Dante restò orfano in giovanissima età, verso i cinque anni, e che non ci sono giunte molte notizie di sua madre, Bella degli Abati. Sappiamo solo che il padre Alighiero si risposò presto con Lapa di Chiarissimo Cialuffi e che Dante fu affidato soprattutto alla cura della sorella maggiore. Probabilmente questa perdita precoce della presenza materna lo segnò profondamente sin dai primi anni di vita e ne condizionò molto anche il suo atteggiamento verso il sesso femminile.
C’è un punto preciso in cui Dante, nel Paradiso (Par, XXII, 1-3), si rivolge a Beatrice come un bambino alla madre:
«Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida; […]» Forse anche questa chiave di lettura psicologica, nell’ottica di una sindrome dell’abbandono, ci può far comprendere perché Dante fosse stato così condizionato dalla perdita precoce della mamma per tutta la sua vita seguente nei suoi rapporti con le donne e perché Beatrice assuma un rilievo così grande nel suo animo, richiamandogli, inconsciamente, il ricordo della madre perduta. |